Evento: precisamente la sera del 12 luglio 1986 al Wembley Stadium di Londra. Dopo più di un’ora e mezza di concerto Freddie Mercury si siede al pianoforte e da il “la” alle prime note di We Are the Champions. Pochi secondi dopo 100.000 spettatori iniziano a fare la ola, qualcuno urla e qualcuno addirittura piange. Ladies and gentlemen, ecco a voi l’engagement, che tradotto letteralmente significa proprio “coinvolgimento”, partecipazione attiva ad uno stimolo.
Coinvolgimento che si manifesta per diverse cause, razionali o emozionali: tra le migliaia di mani alzate quella sera c’erano quelle di chi era galvanizzato dalle sonorità di Brian May, chi si stava riconoscendo nel profondo significato di rivincita della canzone, chi stava ripensando al primo bacio dato 8 anni prima su quelle note.
Cosa c’entra tutto ciò con Internet? Beh, passiamo dalla zuppa al pan bagnato. I nostalgici o i nuovi Queen-fan che oggi guardano sui social i video di quella sera e mettono like, commentano o condividono il video con gli amici, stanno creando engagement. In particolare “engagement rate”, termine inflazionato tra gli addetti ai lavori che fa riferimento, in termini percentuali, alla capacità di un contenuto di generare interazioni.
Palcoscenico reale o virtuale, l’obiettivo di chi organizza un evento continua ad essere la creazione di una connessione profonda con i propri spettatori.